In sostanza, dopo il 1564, l’opera perde sia il carattere di sistematicità che quello di analiticità che avevano invece caratterizzato l'approccio agli atti del periodo che precedette l'episodio noto come la strage dei banderari.
Scoprire le ragioni di questa cesura significa molto probabilmente arrivare a capire quale fu l'esigenza che diede impulso all'opera, le finalità e gli obiettivi perseguiti nel redigerla: la sua ratio. Sciogliere un tale nodo può soprattutto aiutare a delineare le potenzialità e la qualità del manoscritto come fonte per la ricerca storiografica.
A questo scopo è fondamentale sapere che nel 1564 giungeva all'epilogo il lungo conflitto che aveva visto opporsi da secoli le due anime del ceto dirigente cittadino: la classe dei cives, la nobiltà municipale di supposta antica origine feudale, e quella dei populares. Queste esprimevano rispettivamente i due corpi costituenti il Consiglio di Cerna o Credenza e cioè quello dei 24 boni viri e quello dei 24 banderarii.
I Banderari erano un’istituzione con compiti di polizia municipale e controllo economico ma anche e soprattutto d’indirizzo politico e di governo, componente centrale del quadro istituzionale del Comune ternano che, con alterne vicende, vede crescere il suo potere e il suo consenso in città per almeno due secoli (cfr. Vladimiro Coronelli, Terni dal Grande Scisma a MartinoV. La città, le istituzioni e i cittadini dalla libertà comunale alla piena soggezione allo Stato Pontificio).
Va segnalato in proposito il lungo commento inserito alle cc. 295v-297r a chiudere le pagine che regestano il quarto libro del cancelliere ser Francesco Stefanucci da Todi, dove l'Autore, dopo alcune considerazioni di carattere politico-istituzionale ed economico, riporta il sunto di un breve, non registrato nei libri originali delle Riformanze, espressamente emanato da Pio IV il 4 marzo 1562 per ovviare ai «molti abusi nati nell’officio dei banderari per la loro molta autorità». Egli non conosce i motivi dell’omissione operata dal cancelliere nonostante l’espresso ordine di registrazione contenuto nello stesso breve, ma s’interroga sulle ragioni che possano aver portato alla sua emanazione e, in assenza di altre fonti, cita «un libro di memorie di Giustiniano Votto, conservato nell'eredità del capitan Francesco Simonetti dove dice: «A dì 17 Gennaro 1562 li cittadini fecero un'adunata nel refettorio di San Pietro contro l'officio de banderari li quali, col governatore, li levaro dal detto refettorio e non finiro altra resolutione. Molti della città pigliarono le arme e fo fatto alquanto tumulto, per ovviare il quale venne il legato di Camerino col bargello e molti furono pigliati e si stà con qualche sospetto: si vede lu favor delli cittadini esser in piedi». L'iniziativa dell’aristocrazia municipale fu mossa, a suo avviso, dalla necessità di contenere il potere crescente dei banderari e questa convinzione lo porta ad ipotizzare che in quell’occasione i cives stessero discutendo «di procurare un breve dal papa» proprio a tale scopo. Breve che, fa notare, venne puntualmente spedito dopo un mese e mezzo.
La considerazione che fa seguire è illuminante: «questo breve era per produrre molti buoni ordini ma all'incontro un disordine grandissimo, che fu quello di aprire la porta ad ogni fameglia plebea di potersi introdurre nell'ordine de cittadini di Credenza». Ai suoi occhi il breve, che proibiva ai banderari di eleggere i loro successori, era colpevole di aver condotto, in un modo o nell'altro, al «novo modo di eleggere i quattro deputati a far le liste per la nova Credenza, dalle quali il governatore ne formava il numero di 24 cittadini e d'altrettanti banderari» ed è proprio a questa nuova procedura - che in realtà non è stabilita dal breve ma che comunque lo scrittore nota venire adottata a seguito della sua emanazione - che imputa l'ingresso nella nobiltà di «alcuni non mai più sentiti nominare che per popolari», ritenendola quindi la vera origine del declino dell'antica distinzione di classe.
Sostiene infatti che questa «non si sarebbe potuta mantenere perché i due cittadini deputati a dar la nota degl'houmini per la nova Credenza, a fronte dell'altri due banderari condeputati, non haverebbero potuto reprimere l'impeto di essi in voler inserire nel numero de cittadini quelle famiglie popolari che, risplendendo al pari d'ogn'altro nobile, già lungo tempo aspiravano d'avanzarsi fra cittadini e con aprirsi questa strada si sarebbe presto riempita la cittadinanza di tutte le famiglie più vili della plebe». L'anonimo ne è convinto al punto di sostenere che un tale avvilimento dell'«ordine dei cittadini» si sarebbe verificato anche se non fosse seguito due anni dopo «l'eccidio che noi diciamo di Caraciotto» e cioè la "strage dei banderari", che indusse il commissario Monte Valenti da Trevi, inviato dal pontefice per far giustizia e riformare le istituzioni comunali, a eliminare «l'ordine de banderari» e a riempire di "plebe" quello de cittadini. Questi infatti rivoluzionò l’assetto istituzionale e politico della città cancellando ogni distinzione tra cives e populares, istituendo il consiglio dei 48 "Pacifici" e livellando quindi de iure al suo interno il ceto dirigente cittadino.
A questo punto appare chiaro come in queste pagine l'autore in qualche modo riveli lo scopo della sua opera che è quello di analizzare il funzionamento della macchina comunale prima dell'episodio che ne rivoluzionava completamente gli equilibri istituzionali, politici e sociali, per conoscere che ruolo avessero svolto e quali fossero le famiglie che appartenevano all'una e all'altra classe, quali cioè – tra quelle ancora esistenti ai suoi giorni – provenissero dall'antica nobiltà municipale e quali invece dal populus.
E' proprio la confusione che opera tra populus e plebe ad essere quanto mai sintomatica di una lettura delle vicende storiche in una prospettiva filo-aristocratica, che sembra non accettare che i populares potessero arrivare ad essere più ricchi e potenti di molti cives oltre a non riconoscere come nei secoli quella rigida separazione si fosse già profondamente intaccata.
Lo stesso lavoro dell’Autore evidenzia come molti esponenti dell’antica nobiltà venissero eletti al banderariato e vice versa molti populares comparissero nelle liste dei boni viri. L’opera di trascrizione delle liste dei magistrati e di annotazione dei cognomi dei personaggi che le componevano, potenziata con l'ausilio dello strumento informatico messo a punto per questo progetto, ha permesso infatti di osservare chiaramente come molte famiglie dell’aristocrazia “di spada” avessero rami che esprimevano ormai solamente banderari, mentre alcuni individui ricoprivano nel corso della loro carriera amministrativa entrambe le cariche di banderaro e bonus vir. Questo è il segno evidente di una mobilità sociale e di una permeabilità dei confini di classe che portò molte famiglie nobili e loro esponenti ad occuparsi di attività produttive e commerciali – solitamente appannaggio della borghesia – così come molti popolari furono portati a travalicare i limiti della loro classe grazie alle ricchezze accumulate oppure a oculate politiche matrimoniali. Questo dinamismo s’interrompe con la crisi del XVI secolo e noi oggi possiamo chiaramente notare come l'evoluzione socio-politica che visse la città negli anni a ridosso del 1564 si inserisca perfettamente, a livello locale, in una dinamica storica più ampia, che portò a una nuova chiusura dei ceti dirigenti italiani tardo quattrocenteschi che, pur includendo le fasce più elevate del populus, giunsero ad una nuova cristallizzazione dell’assetto gerarchico della società e alla sua sostanziale rifeudalizzazione.